CONVALIDA D’ARRESTO UN SABATO MATTINA AL CARCERE DI POGGIOREALE

 

Quella mattina in cui incontrai B.A. mi avevano chiamato per una convalida d’arresto al carcere di Poggioreale. Era sabato. La giudice era una di quelle toste – senza trucco e con le scarpe basse, e soprattutto molto diretta. Era stata lei che mi aveva chiamato la prima volta, e poi avevamo scoperto che le nostre mamme erano morte nella stessa settimana pochi mesi prima ed entrambe avevamo pensato di averne avuto la protezione dall’aldilà. Io infatti ero andata per un paio di mesi in giro per le cancellerie del Tribunale a dare il mio bigliettino da visita ed ero impaziente di incominciare questo lavoro, e lei era disperata perché le era capitata una banda di trafficanti internazionali di eroina da interrogare al carcere di Secondigliano, ed era venerdì santo e la sua interprete di riferimento non era in città. Ognuna aveva salvato il c… all’altra, praticamente ;-). Mi aveva sempre richiamato, in seguito.
Ci salutammo amichevolmente stringendoci la mano quando entrai nella stanza per l’udienza, lei da un lato della scrivania, insieme alla cancelliera, io dall’altro, insieme all’avvocato, in attesa del prigioniero. Il quale entra completamente spaurito, sì, come disorientato, era questa l’impressione che ho avuto subito. Magro da far paura. Giovanissimo.

Inizia l’udienza ed ecco, la storia è la seguente: Badie Anyass, di provenienza Gahanese, sbarcato in Italia senza regolare permesso di soggiorno, soggiorna invece nei giardinetti pubblici di un quartiere napoletano. Dorme su di un cartone e con una pezza sporca lava i vetri degli automobilisti costretti a fermarsi al semaforo quando è rosso. Insieme a lui altri disperati soggiornano in quelle aiuole brulle, e a volte Badie si sente meno solo per questo. Di fronte ai giardinetti dove Badie ‘abita’, da quando lui è arrivato, ci è sempre stata una banca interessata da lavori di ristrutturazione, per cui ancora chiusa. Badie ogni mattina appena sveglio va dagli operai che lavorano a quel cantiere, loro gli offrono il caffè e a volte anche una graffa o un cornetto, o se va male anche solo essere accolto e un buon caffe caldo e dolce gli fanno tanto piacere. Inizia bene la giornata, ecco.

Quella mattina però in cui si sveglia Badie e fa per andare al cantiere, il cantiere non è più un cantiere, ma adesso è una banca, con tanto di poliziotto all’ingresso. Si, forse ieri ha visto un po’ di andirivieni diverso dal solito, ma non ci ha fatto caso… Badie non se ne rende conto e fa per entrare come se niente fosse, ma viene malamente fermato dall’uomo della security che gli dice che lui lì non può entrare, e lo spinge gentilmente verso la strada. Allora Badie ci resta male, cerca di dirgli con un inglese che, parola di interprete, non si capisce una mazza, che i suoi amici operai lo stanno sicuramente aspettando per un caffè, e tenta di nuovo di entrare, ma il poliziotto lo respinge di nuovo e stavolta con un po’ più di forza. Badie, adesso ancor meno di prima capisce perché lì non può entrare, perché non può PIU’ entrare, e si rimette il berretto in testa e fa per entrare ancora, ma stavolta ha la brillante idea di mettersi una mano in tasca a far finta di avere una pistola, e minaccia in questo modo il poliziotto, che a quel punto lo prende per il bavero e lo allontana malamente, urlandogli di andare via e non farsi più vedere.

Badie è incazzato, ma è anche confuso, non è giusto che lui sta lì e non capisce niente e non lo fanno entrare… ha tutta una nebbia in testa, Badie. Ma comunque adesso è veramente arrabbiato, si gira a guardare dritto in faccia il poliziotto alla porta e gli fa una minaccia facendo il segno di tagliarsi la gola col pollice. E si allontana urlando minacce e sputando saliva incazzata dovunque. Il poliziotto, proprio ‘sta cosa il suo primo giorno di lavoro alla banca nuova non gli va giù, decide quindi di chiamare la polizia (quella vera) e sporgere denuncia, anche perché il nero sta sempre di fronte, ai giardinetti, e continua a tenerlo d’occhio da lontano e a minacciarlo, dopotutto lui è stato assunto (in prova, eh?) per tenere in ordine la banca e i suoi dintorni. Ebbene sì, la polizia l’ha chiamata in tutta coscienza, per lui come persona ma soprattutto per il suo lavoro.

La giudice guarda Badie abbastanza avvilita, ma anche incuriosita, mi dice: dottoressa, gli chieda come gli è saltato in testa di far finta di avere la pistola in tasca con un poliziotto, seppure privato?
Io gli traduco la domanda e lui risponde a testa bassa mormorando un incomprensibile borbottio.
Gli rifaccio la domanda, Badie, come mai ha pensato di far finta di avere una pistola in tasca, come le è venuto in mente?
E lui sempre a testa bassa, mumble mumble, e io non capivo….
La giudice mi fa, dottoressa, insomma, cosa sta dicendo l’indagato, me lo dica!
Giudice mi dispiace ma non lo capisco neanche io….
Restiamo un attimo pensierosi, tutti e quattro… poi mi viene un’idea
Giudice, mi permette di porre una domanda più diretta all’imputato?
Va bene dottoressa, proceda pure
Badie, ma ti eri fatto una canna?
Mumble mumble e testa ancora più bassa
Badie, dimmi, avevi fumato uno spinello?
Yes. Weed.
Giudice, aveva fumato erba.
Ah ecco, dice la giudice. Era quantomeno confuso.

L’interrogatorio si conclude dopo qualche altro minuto. L’avvocato ha giustamente fatto notare alla giudice che nella questione non esiste un’arma e che un dito puntato che sporge da una tasca non può essere considerata una minaccia a mano armata.
La giudice si riserva di scrivere la sentenza e dopo una decina di minuti, eccola che me la porge. Ci guarda in faccia, me e l’avvocato, e ci dice, non potevo lasciarlo in quella piazza, si tratta di un soggetto disadattato e perciò anche potenzialmente pericoloso. Ci stringiamo la mano ed esce con la sua cartellina sotto il braccio. Adesso mi porteranno in un’altra stanzetta in cui lui sta aspettando il suo prossimo destino scritto in questa sentenza e me, che devo tradurglielo.
Mentre leggo la sentenza traducendola direttamente in inglese parola per parola, Badie ascolta attentamente, cercando di comprendere il linguaggio astruso della nostra giustizia.
Poi metto giù la sentenza e lo guardo negli occhi: ‘Badie, la giudice ha deciso che è più opportuno che tu aspetti il processo in carcere. Non è una sentenza, è solo una convalida d’arresto, Badie, sai cosa intendo? No, Badie, non piangere, non disperarti, avvocato, lei non può fare niente, non so, chiedere che venga affidato ad una comunità di recupero o assistenza agli immigrati? ‘Dottoressa, non mi compete assolutamente.’

Badie ascolta, gli dico mentre lui continua a piangere (in cuor mio gli do del tu, anche se in inglese il voi e il tu sono uguali, ma è il tono che è cambiato, adesso). Badie, che vita era quella che facevi in quei giardinetti? Non avevi neanche un letto, dormivi sui cartoni, ora ce l’hai. Per guadagnare pochi spiccioli dovevi lavare i vetri agli automobilisti, adesso puoi forse chiedere di lavorare in biblioteca, o in lavanderia, potresti guadagnarti anche qualcosa. E poi non mangiavi, Badie, sei magrissimo infatti. Qua mangerai e mangerai ogni giorno, tre volte al giorno. Inoltre avrai occasione per imparare la lingua. Uscirai di qui più forte e in salute ed avrai anche imparato la nostra lingua. Hai una religione?

Yes, I’m Catholic.
Prega allora, ogni giorno, mattina e sera, proprio per aprire e chiudere la tua giornata.
E non fumare. In carcere la puoi anche trovare, l’erba, ma non fumare. Leva un po’ di confusione da questa testa che hai … sei fuori casa, sei giovanissimo, non conosci la lingua e non conosci le leggi.
Badie mi guarda con occhi tristi, capisce le mie parole anche se non le comprende appieno. Si asciuga le lacrime e annuisce lentamente. Mi rendo conto che la sua vita è cambiata drasticamente, che dovrà affrontare un periodo difficile di detenzione. Ma spero che anche in questo luogo possa trovare un po’ di speranza, un’opportunità per crescere e imparare.
Mentre usciamo dalla stanza, in cui invece lui resta ad aspettare la guardia che lo porti in cella, la sua nuova stanza per un po’, gli sorrido con affetto e gli dico: “Badie, non dimenticare mai che sei più forte di quello che pensi. Sei qui per un motivo, per riflettere, per migliorarti. Non perdere mai la speranza, perché anche in mezzo alle difficoltà puoi trovare la forza per ricominciare. Sei giovane. Adesso diventa forte.”

Badie alza lo sguardo e vedo un barlume di speranza brillare dietro quegli occhi tristi. E mi ringrazia con un sorriso, non li avevo ancora visti, i suoi denti bianchissimi. Non so cosa gli riserva il futuro, ma spero che riesca a trovare la strada verso una vita migliore. Mentre pedalo verso casa lasciandomi il lungo e cupo carcere di Poggioreale alle spalle, rifletto su quanto sia importante, nel suo piccolo, il mio lavoro di traduttrice di tribunale. Posso essere un ponte tra le lingue e le culture, un aiuto per coloro che si trovano in situazioni difficili, come Badie.
La legge italiana garantisce che le persone possano comprendere appieno il processo legale. E anche se il mio lavoro può essere complesso e a volte travolgente, mi sento privilegiata nel poter svolgere un ruolo così importante nella giustizia.
Continuerò a tradurre, a far conoscere storie come quella di Badie e a cercare di rendere il mondo un po’ più giusto attraverso le parole. E spero che un giorno, Badie possa trovare la pace e la felicità che merita.

Napoli si conferma una città accogliente e umana

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