AVANZI DI GIUSTIZIA 2.0
MEMORIE DI UNA INTERPRETE DI TRIBUNALE
dedicato a mio zio Igino
che mi consigliò di iscrivermi, novella diplomata alla scuola superiore per interpreti e traduttori, al Tribunale di Napoli come perito. Ti voglio ricordare usando immodestamente il titolo del tuo libro, il tuo di grande successo e ispirazione che ancora i tuoi esimi colleghi giudici ci tengono interi convegni – ne stanno ancora parlando, insomma. Mi chiamarono 30 anni dopo per la prima perizia, ma era il momento giusto anche per me. Quando le cose sono a ritmo. Grazie, zio, una cosa bella veramente. E ci sta un pò di te, qua.
IL FILIPPINO UBRIACO
Piangeva ogni giorno come una fontana, il filippino Bob, da quel giorno di giugno in cui era stato arrestato e portato in galera (nientepopodimeno che) a Napoli.
A volerla dire tutta, essendo stato portato al carcere di massima sicurezza, Secondigliano, e non a Poggioreale, gli era andata pure bene. Sapeva quanto fosse invivibile il secondo, gremito come un vagone della metro nell’ora di punta, e sporco e senza servizi, gliene aveva parlato qualcuno nei mari che frequentava. A Secondigliano invece, sembrava quasi di stare in albergo. Forse la sua cella era meglio perfino della sua cuccetta a bordo. Anzi, non forse, lo era sicuramente. Si poteva uscire all’aria aperta quasi per mezza giornata e occuparsi dell’orto, giocare a pallone, di tanto in tanto un corso di teatro. Non era niente male. Se non fosse che ti mancava la libertà. A lui, poi, marinaio da tanti anni oramai, mancava tantissimo l’aria del mare, dell’oceano, quella sensazione di apertura quando guardi un orizzonte, un cielo con le sue nuvolette, la scia bianca, dal ponte di una nave.
Quando arrivai in tribunale, curiosa e un po’ eccitata come sempre quando si trattava di un nuovo caso, lo notai salire le scale circondato dalle guardie penitenziarie. E piangeva, infatti. Era proprio lui. In tempi di Covid, pensai, tutto questo pianto ravvicinato (dovendo sussurrare, in aula, bisogna farlo) non è proprio il massimo. Andiamo bene.
Quando seppi la sua storia dall’avvocato difensore, mentre aspettavamo in aula che iniziasse l’udienza, capii che l’uomo piangeva, e faceva bene a piangere, per la sua stupidità.
Una sera ubriaco, insieme ad altri due filippini ubriachi, su di una nave al largo dei Caraibi, ha iniziato una discussione con i due, che poi ha accoltellato a morte.
Dice che è stata legittima difesa, che voleva solo impedire loro di andare a litigare col capitano, col quale avevano un conto in sospeso per vicende di contratto, coltelli alla mano. Bob, sempre piangendo, mi mostra le sue cicatrici (ormai è passato quasi un anno), e sostiene che i due se le sono date per sbaglio da soli, tutte quelle coltellate, nella lite a tre.
Durante il processo, ogni volta che mi avvicino alle sbarre per tradurgli quello che si stanno dicendo in aula, lui scoppia a piangere e disperatamente mi ripete che lui non è stato, mi mostra le cicatrici, mi sono dovuto difendere, mi dice. Io che posso dirgli? Solo lo so, Mr. Bob, ma non è a me che devi dirlo, parla col tuo avvocato, lui è bravo, vedrai andrà tutto bene.
La guardia che lo ha accompagnato dal carcere, in un minuto in cui siamo seduti vicini (ma sempre a distanza per il Covid) in attesa della sentenza del giudice, mi fa, “dottorè, questo è innocente pop. Voi che dite?” Resto stupita perché da quante volte ho pensato che gli imputati che avevo avanti fossero innocenti, mai le guardie sono state d’accordo con me. Mi ero fatta un’idea che esse fossero (le guardie) colpevoliste a prescindere. Guardo l’avvocato: Avvocà, voi che dite? È legittima difesa?
“Potrebbe se volessimo accogliere la storia come l’ha raccontata lui, ma i corpi presentavano all’esito dell’autopsia, almeno una dozzina di coltellate date con forza… troppe per una legittima difesa… rischia 30 anni di carcere. Quello che sto tentando di fare è farlo estradare in Filippine, del resto terra di origine delle vittime quanto dell’imputato, dove lui vorrebbe trascorrere il periodo di detenzione.”
Avvocato, io e la guardia esclamiamo, ma le carceri filippine non sono certo Secondigliano! Si, aggiunge lui, e neanche la giustizia: qua ha assicurato fino a tre gradi di giudizio.
E allora, avvocà? Perché vuole tornare in Filippine?
Gli ho fatto esattamente la stessa domanda, ho insistito tantissimo con lui, e ancora cerco di insistere. Lui risponde sempre così: Io avere 4 figli in Philippines… uno ancora minorenne, piccolo figlio mio. Mia famiglia povera. Sei io resta qua, non vede loro mai più.
Quanto può essere stupido un essere umano che si rovina la via così perché la affida all’alcool?
Non aggiungo altro.
Voglio riflettere.
Fa riflettere davvero .. complimenti amica mia ❤️ è sempre una grande gioia per me leggere le tue meravigliose riflessioni.
Gia ..solo una profonda persona come te Francesca villani può leggere sino infondo a qsta storia in modo così coerente con una semplicità che diventa classe! Complimenti signora
…e solo una lettrice cocme te può scrivere un tale meraviglioso commento 😉
Grazie! 🙂
Sento L aula , il filippino ,la tragedia …e la tua umanità’ , cara Checca, semplice e diretta! Grazie💙
Che bella questa storia peccato che non tutti hanno la fortuna di salvarsi dalle proprie debolezze.
Checca sei come scrivi diretta semplice e simpatica nonostante la durezza del racconto
Baci grandi
Grazie mille 🙂
Ne ho tante di storie, sto provando a metterle giù tutte prima di dimenticarle…
stay tuned 😉