MI CHIAMO JOY FREEDOM… così, così, così

Un giorno mi chiamano con urgenza per consegnarmi una Ordinanza applicativa di misura cautelare di 80 pagine da tradurre entro lo scadere dei termini preventivi, cioè ieri praticamente, contro 4 individui nigeriani accusati di tratta e sfruttamento di esseri umani, tre donne e un uomo. Nel tragitto di ritorno in metro mi informo su internet su questa piaga sociale di cui ho solo sentito vagamente parlare, per entrare meglio nel mood. Le donne nigeriane vittime della tratta sessuale che emigrano non scappano dalle guerre o da regimi particolarmente repressivi come quello dell’Eritrea, ma principalmente dalla povertà e dalla mancanza di futuro in un paese molto popoloso dove solo una minuscola élite controlla la ricchezza e il potere. Nella maggior parte dei casi partono con l’assicurazione di una nuova vita e di un lavoro che permetterà loro di ripagare il viaggio che hanno intrapreso. In questo meccanismo il rituale voodoo, o juju, fatto da uno sciamano o da un cosiddetto medico nativo, ha un ruolo fondamentale e si basa su un sistema di credenze fortemente radicato nel culto tradizionale. Pezzi di vestiti, di unghie, di capelli o di peli pubici sono mescolati alle gocce del sangue delle ragazze in un intruglio che poi le ragazze devono bere. Il rituale stabilisce una catena molto potente fra i trafficanti che finanziano il viaggio e le donne che devono ripagare quel viaggio con il loro “lavoro”. Oltre alla paura del giuramento, vengono utilizzate anche altre forme di pressione psicologica: per esempio, molto spesso i reclutatori conoscono il luogo d’origine delle ragazze, le minacciano con questa informazione o in certi casi passano ai fatti aggredendo direttamente le famiglie di origine in Nigeria.

Appena rientrata a casa mi immergo avidamente (anche perché non vorrei mai che per colpa mia scadessero i termini e i quattro si ritrovassero liberi!) in quel vortice di intercettazioni, intervallate dalle considerazioni della giudice che condurrà infine alla ordinanza della misura cautelare in carcere. Scopro così che, dopo un viaggio che dura anche anni, in cui devono prima attraversare il deserto, poi vengono richiuse in prigioni di fortuna in Libia, ed infine imbarcate su natanti che purtroppo ben conosciamo, alle ragazze della tratta, una volta sbarcate, se ci arrivano naturalmente, a destinazione, viene consegnato un telefonino sul quale una MADAME le contatterà per farsi raggiungere laddove poi inizierà il ‘lavoro’ vero e proprio per ripagare il debito (circa 4000 euro). Cioè la prostituzione. Ma non finisce qui, e a volte non finisce mai, perché il debito aumenta quotidianamente, in quanto le ragazze devono pagare l’ospitalità che hanno dalle MADAME, vitto e alloggio, nonché addirittura il luogo (di solito una pietra miliare sulla strada) presso il quale si posizionano per battere. Pagano anche la postazione, insomma. Dalle 80 pagine che mi trovai fra le mani, capii che alcune di loro erano rimaste incastrate in questo tragico giochetto anni e anni, diventando delle vere e proprie schiave sessuali. Dalle intercettazioni scoprii che le tre donne imputate erano delle delinquenti maligne e false, incattivite dalla stessa vita che facevano, sempre pronte a minacciare le ragazze che non portavano abbastanza soldi, con frasi del tipo vengo lì e ti taglio i polsi col coltello e poi ci metto il peperoncino, oppure ti levo il bambino e lo rimando in Nigeria da solo, talvolta fintamente amichevoli e comprensive per poi sparlare e tramare alle loro spalle. L’uomo invece, mi sembrò che fosse costantemente seduto in poltrona dove gli veniva consegnato il misero incasso dall’una o dall’altra di turno. Era il più cattivo ma anche il meno attivo. La sua attività era tutta nella sua cattiveria. Spettegolava e aveva sempre uno sguardo maligno, crudele e violento sulla situazione delle ragazze. Metteva zizzania fra le donne e le ragazze. E le metteva anche incinte, spesso e volentieri. Ma poi il problema non era suo, chiaro. La mia soddisfazione fu grande quando arrivai a tradurre la la parte finale dell’ordinanza, ne cito qua alcuni brani sperando di stimolare nel lettore la stessa soddisfazione che provai io, che ero stata immersa in questo mondo sei ore al giorno per gli ultimi 5 giorni… che volete da me, mi sentii molto acculturata anch’io leggendo le leggi del mio paese tanto ben espresse dalla giudice:

(…) il tutto sotto la costante minaccia di riti voodoo e ju ju celebrati per asservire le vittime, profittando della vulnerabilità di giovanissime ragazze, la cui debolezza appare derivante proprio dalla precipua condizione di assenza di scelte e di assenza di alternativa (nel senso indicato dalla direttiva 2011/36/UE).

(…) Tali considerazioni, peraltro, illuminano di prognosi negativa la personalità degli indagati che, seppur incensurati hanno mostrato scaltrezza e spregiudicatezza nel loro agire, in totale spregio per la dignità delle donne sottoposte alle descritte condotte (in rosso nel testo). (…).

A fronte di ciò, nessun elemento di positiva valutazione è emerso a favore degli indagati; gli stessi, infatti, anche in sede di interrogatorio di garanzia si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ovvero hanno, puramente e semplicemente, negato ogni addebito adducendo generiche giustificazioni.

Con idioma colto e pungente la giudice lascia in carcere tutti gli imputati in attesa del processo, era il minimo per questa gente senza scrupoli, e mi sentii un minimo rassicurata dalla giustizia del mio paese. E quanto resteranno in carcere, dopo il processo, vi chiederete voi?

Così recita la seconda parte del primo comma dell’art. 601 del codice penale:

«è punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, trasporta, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600(…), mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, (…) al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi. (…)»

“(…) costoro avranno una sanzione detentiva verosimilmente assai elevatacommenta la giudice più avanti. Se lo dice lei.

E So’ soddisfazioni.

Terminai la traduzione nei tempi richiesti e la consegnai in cancelleria, chiudendo così un’altra storia terribile.

Ma una cosa, tornando a casa, stavolta in bicicletta, continuava a ronzarmi nella testa, ed era una cosa che mi faceva sorridere, nonostante tutto, e mi faceva ben sperare (sarà che stavo pedalando ;)). Una scintilla, un guizzo di coraggio, il senso di libertà, di dignità, era stato quello che aveva reso possibile sgominare una banda di sfruttatori della prostituzione senza scrupoli.

Una delle ragazze, l’unica minorenne e dal nome che era tutto un programma, Joy Freedom, Gioia Libertà, roba che se lo metti in un film o lo scrivi in un libro la gente pensa che te lo sei inventato apposta per l’occasione, (dimenticando che il capo della polizia nel nostro paese è stato per tanti anni un certo Manganelli… ;)) e invece no, lei si chiamava proprio Gioia Libertà, era lei che aveva permesso l’arresto dei 4 delinquenti. Una volta arrivata in Campania, appena sbarcata, dopo un viaggio allucinante che l’aveva fatta passare dal-deserto-nel-camion-e-poi-nel carcere-libico-e-poi-in-barca-in-balia-del-Mediterraneo, con quel telefono che le avevano dato, e dal quale le stavano arrivando ripetute chiamate e minacce dalla sua MADAME, che le intimava di andare immediatamente da lei a ‘prendere servizio’, noncurante perfino delle credenze voodoo del suo paese, la minore Joy Freedom era andata direttamente dai Carabinieri. Aveva appoggiato il telefono sulla scrivania del maresciallo che l’aveva accolta, con il numero che la stava chiamando ben in vista, e aveva cominciato, in un inglese dal forte accento africano, a testa alta, come una regina: Mi chiamo Joy Freedom, da questo numero mi arrivano chiamate e minacce, e per arrivare qui ho attraversato il deserto, e poi… così… così… così. Racconta tutto. Ed ecco che da quel numero i carabinieri avevano avviato una serie di intercettazioni risalendo ad una banda attiva sul territorio da diversi anni, una delle più crudeli e senza scrupoli.

L’unica minore del gruppo – Joy Freedom… così così così.

Torna al primo racconto

Torna alla home page

Visita la Cooperativa Sociale Dedalus

Share This